“Che dobbiamo fare?”

Terza domenica di Avvento

3settimana

C’è una domanda che rimbalza pari pari per ben tre volte nel giro dei pochi versetti di questo vangelo: “Che dobbiamo fare?“. È una domanda che registriamo tante volte dentro e fuori di noi, quando l’angoscia ci annebbia la vista e ci fa perdere la strada, e allora ci chiediamo smarriti: ma, insomma, che dobbiamo fare? Altre volte questa domanda assume il tono di una ricerca aperta e disponibile: pensiamo, per esempio, a due giovani che decidono di intraprendere il cammino dell’amore che li porterà al matrimonio cristiano e si domandano sinceramente e generosamente: e adesso che dobbiamo fare? Forse, più spesso, questa stessa domanda risuona nelle nostre famiglie e diventa l’esternazione di un disagio nel dialogo tra le generazioni. I giovani di una volta rischiavano una vita piena di precetti, costretta da norme rigide e inflessibili. Per ogni problema c’era una regola, per ogni situazione era già scritto quello che si doveva fare. Esagerando un po’, forse si potrebbe dire che un tempo si correva il pericolo di vivere una disciplina senza amore; i giovani di oggi rischiano il contrario. E i genitori si domandano angustiati: che cosa dobbiamo fare ancora con questi figli?

1. Che cosa dobbiamo fare? Lo chiedono al Battista le folle, indistintamente; lo domandano i pubblicani, gli odiatissimi esattori delle tasse; e infine, anche i soldati.
La risposta di Giovanni alla prima domanda è nella linea della condivisione del cibo e del vestito: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Ai pubblicani Giovanni raccomanda, nel riscuotere le tasse, di non estorcere neanche un soldo in più. Ai soldati, oltre questo, il Battista domanda la sobrietà: “contentatevi delle vostre paghe”.

Tre risposte per un identico programma di vita, fatto di doveri elementari, di impegni semplici e pratici, di comportamenti possibili per le situazioni particolari delle diverse categorie di persone. Sembra addirittura una morale del minimo, e in effetti un po’ lo è, almeno se la si misura con quella, ben più alta ed esigente, che richiederà Gesù dai suoi discepoli (Lc 6,29; 12,33). Eppure la risposta di Giovanni non verrà oscurata da quella del Nazareno, ma conserva ancora oggi la sua attualità e si segnala proprio per il suo carattere basilare e quanto mai concreto. Del resto, siamo proprio sicuri che essa non ci riguardi? Ad esempio, prima di vedere quanto del nostro denaro dobbiamo dare in beneficenza, possiamo dire di avere assolto al nostro dovere di pagare le tasse?

Che cosa dobbiamo fare? Questa domanda sta molto a cuore all’evangelista Luca, il quale la riporta anche all’inizio del suo secondo volume, al termine del grande discorso tenuto da Pietro il giorno di Pentecoste, quando i presenti, all’udire il messaggio del capo degli apostoli, si sentirono trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. La risposta di Pietro è analoga a quella del Precursore: occorre convertirsi e farsi battezzare (cfr. At 2,37-38). L’appello alla conversione è pertanto il messaggio perenne della Chiesa.